domenica 24 maggio 2020
Nuovi documenti: a Pasqua altri 77 migranti dirottati verso l'Italia. In Sicilia due procure hanno acquisito la ricostruzione di "Avvenire". Davvero l'Italia non si è mai accorta di nulla?
Un momento del respingimento di Pasquetta

Un momento del respingimento di Pasquetta

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Nessun commento, nessuna smentita. Ai silenzi per i 12 morti di Pasquetta, da Malta si sono aggiunti quelli sul barcone di 101 persone spinto illegalmente verso l’Italia dalle forze armate de La Valletta. Ora sappiamo il perché: i gommoni dirottati dalle acque territoriali e poi equipaggiati per raggiungere la Sicilia furono due: in totale 178 persone in un solo giorno.
E’ la prova di una strategia sistematica per allontanare i profughi verso la Libia adoperando pescherecci fantasma, e in direzione della Sicilia fornendo carburante e motori efficienti. La polizia di Ragusa ha acquisito i servizi, le fotografie e i filmati pubblicati da Avvenire e The Guardian. L’inchiesta giornalistica, riferiscono fonti della procura, collima con le testimonianze rese dai migranti subito dopo lo sbarco. E fornisce le prove documentali che mancavano riguardo il coinvolgimento maltese. Sull’altro episodio, fino a ieri registrato come “sbarco spontaneo”, sarà la procura di Siracusa a svolgere approfondimenti. A Pozzallo un ragazzo di origine sudanese era stato arrestato con l’accusa di essere lo scafista, e con lui denunciati altri due subsahariani. Le testimonianze raccolte, però, li indicano come “scafisti forzati”, costretti sotto la minaccia delle armi.

Appare più chiaro come abbiano fatto ad arrivare in Italia. E tutte le piste portano in una sola direzione: La Valletta. I gommoni - 101 e 77 migranti - erano partiti tre giorni prima dalle coste libiche e per un tratto avevano navigato a distanza ma restando in contatto visivo, poi nel buio della notte avevano perso qualsiasi contatto. L’11 aprile erano finiti entrambi in acque maltesi, ma l'uno non sapeva dell'altro. Il primo gruppo arrivò a Pozzallo il giorno dopo, domenica di Pasqua, con un motore fornito in sostituzione di quello andato in avaria durante la drammatica sosta vicino alle coste dell’isola. Lunedì, mentre un terzo gommone era alla deriva abbandonato a se stesso e infine intercettato da un motopesca libico-maltese (alla fine si conteranno 12 morti) gli altre 77 persone sono sbucati dal nulla sotto alla scogliera di Capo Passero. Quando se li sono visti spuntare, il sindaco e i carabinieri sulle prime pensarono a un ritorno all’antico dei trafficanti libici. Navi madre al largo, da cui sparpagliare una serie di barchini carichi di migranti. Impossibile che i gommoni reggessero per 500 chilometri e che avessero carburante a sufficienza per una traversata di giorni.

Quello non sapevano è che li aveva mandati tutti Malta, dopo averli equipaggiati per proseguire la traversata nel Canale di Sicilia. Le immagini e filmati pubblicati nei giorni scorsi mostrano l’aggressività con cui un pattugliatore Maltese è intervenuto mentre a decine si gettavano in acqua per sottrarsi al respingimento verso la Libia. Del secondo barcone, invece, non ci sono filmati. Ma incrociando i dati della geolocalizzazione e il contenuto delle telefonate ad Alarm Phone si arriva alla medesima conclusione. Ripetutamente dal barcone urlano attraverso il satellitare fornito dagli scafisti di essere rimasti senza carburante e con il motore spento. La trascrizione delle comunicazioni sono eloquenti. «Si, vedo la terra con i miei occhi. Vediamo Malta, non è lontana», dice uno degli uomini sul barcone mentre da Alarm Phone cercano di calmarlo. Il gommone ha imbarcato acqua. Il carburante è esaurito e il gruppo scarroccia alla deriva. A bordo anche una ventina di donne, una bambina di 7 anni e la madre incinta. Dicono di essere originari di Mali, Senegal, Costa d'Avorio, Sudan, Ciad. Tutte nazionalità dichiarate poi all’arrivo in Italia.

Poi arriva una motovedetta maltese. I migranti al telefono spiegano che il grosso motoscafo grigio aveva il simbolo “Afm”, che sta per “Armed force of Malta”. Qualcuno tra i profughi sente i militari parlare urlare la parola «rubbish», «spazzatura». Per due volte le motovedette sentendo che nessuno vuole tornare in Libia si allontana. Per due volte tornerà avvertendoli che se non avessero girato la prua verso sud sarebbero tutti morti.

Poi accade qualcosa. Il telefono satellitare rimane senza energia, non c'è più modo di ricontattarli. Dopo due giorni i 77 arriveranno a Capo Passero con il motore esausto ma operativo. E una buona scorta di carburante.

Lungo i 100 chilometri d’acqua salata che separano la piccola repubblica insulare dalla Sicilia, il confine tra silenzi interessati e le omertà degli Stati è sempre più sottile. Impossibile anche solo immaginare che un paese del G7 come l’Italia, che agenzie europee come Frontex, che i dispositivi militari della Nato e di Eunavfor Med in questi anni non si siano mai accorti di nulla.

Gli obblighi per le autorità «non possono essere sostituiti dall’offerta di carburante e di aiuti – ha ribadito nei giorni scorsi l'Onu da Ginevra. Gli Stati devono fare ogni sforzo per soccorrere prontamente le persone in difficoltà, poiché anche un ritardo di pochi minuti potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte».

Le indagini avviate in Sicilia non avranno vita facile. Una volta che gli inquirenti avranno svolto le analisi tecniche sui filmati dovranno chiedere cooperazione ai colleghi di Malta. E non sarà facile farsi consegnare la lista degli equipaggi delle motovedette e la loro versione dei fatti. I militari, però, potrebbero venire ascoltati dal Tribunale de La Valletta che prosegue nell'inchiesta sul premier Abela i il capo dell'Esercito indagati per la "Strage di Pasquetta", avvenuta proprio mentre gli altri barconi venivano dirottati verso l'Italia. E in quel caso i magistrati italiani potrebbero accedere al contenuto delle deposizioni.

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