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Corriere del Ticino Martedì 17 dicembre 2019 PLURILINGUA IL DIRITTO E L’ITALIANO Lorenzo Tomasin N on c’è solo la letteratura: uno degli elementi che fanno di una lingua qualsiasi una lingua di cultura è il suo impiego nelle forme più complesse e formalmente regolate della vita sociale. Cioè nelle leggi e nelle funzioni ad esse legate. Per questo, assicurare all’italiano una vitalità come lingua della legge è fondamentale per un Paese come la Svizzera. Ho scoperto di recente che l’italiano fatica a farsi accettare come lingua della legge proprio in una città e in una università che più d’altre dovrebbero tenere alla piena rappresentatività delle lingue federali, cioè a Berna. Fino al pensionamento, avvenuto nel 2003, del grande storico del diritto Pio Caroni, la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Berna offriva regolarmente corsi in italiano rivolti soprattutto ai molti studenti ticinesi che studiano la legge nella capitale in vista di un ritorno nella Svizzera italiana e di una carriera negli studi legali e nelle aule di giustizia del cantone. Ma l’offerta era valida anche per i germanofoni e per i francofoni, giacché per un avvocato svizzero è importantissimo, naturalmente, conoscere il linguaggio giuridico tedesco, e certo anche quello francese, ma non è meno importante aver dimestichezza con quello italiano, per il quale oltre a tutto non valgono quelle facili equivalenze lessicali – di solito appoggiate all’inglese – che soccorrono in altri campi di studio. Quello giuridico è, nelle grandi lingue di cultura europee, un comparto fortemente condizionato da tradizioni e vicende storiche locali. Che in Svizzera significa: da circostanze peculiari, ma condivise da tutti. CULTURA & SOCIETÀ 30 In questo quadro, è davvero un peccato che da molti anni ormai la voce della giurisprudenza all’Università di Berna non parli più (anche) italiano: i generosi tentativi promossi in tal senso da una valente cattedratica di storia del diritto romano, Iole Fargnoli, si sono per ora arenati nelle secche di una cultura giuridica che, purtroppo, tende a promuovere anche in questi settori la chimera di un inglese ubiquo e culturalmente avvilente, e a trascurare il grande patrimonio di civiltà costituito dai linguaggi giuridici: fortunata la Svizzera a coltivarne almeno tre (se non proprio quattro) nel suo territorio! Perché dunque non fare lo stesso anche nelle sue università? Solo un paio d’anni fa la Confederazione ha festeggiato i cento anni di quel Segretariato di lingua italiana (oggi Divisione italiana dei Servizi linguistici centrali della Cancelleria federale) che per impulso del ticinese Giuseppe Motta assicurò, a partire dal 1918, la progressiva traduzione di tutta la legislazione elvetica anche nella terza lingua. La storia di questo ufficio è stata recentemente raccontata da un bel libro curato da Verio Pini (Anche in italiano!, Casagrande editore). E solo poche settimane fa, la fine della presidenza di Marina Carobbio Guscetti al Consiglio Nazionale ha concluso uno dei periodi di più intensa ripresa dell’uso dell’italiano nell’attività ordinaria dei luoghi in cui le norme svizzere vengono discusse e scritte: il tempo di parola in italiano è più che raddoppiato nelle sessioni parlamentari degli ultimi anni. Il testimone deve ora passare alle scuole del diritto: non si può che sperare che quella di Berna, prestigiosa università di una capitale plurilingue, sappia tener conto di questa tradizione e recuperarla per il bene dell’ecosistema linguistico e culturale della Confederazione. Responsabile di redazione Mauro Rossi E-mail spettacoli@ cdt.ch Telefono 091 9603131 L’INTERVISTA / MARCO SANTAGATA / italianista L’«amoroso pensiero» di Giovanni Boccaccio Gustav Wappers, Boccaccio legge il «Decamerone» alla regina Giovanna (1849 ca). Olio su tela. Bruxelles, Museo reale delle Belle Arti. Fabio Pagliccia Marco Santagata, già docente ordinario di Letteratura italiana presso l’Università di Pisa, ha pubblicato di recente un documentato saggio, Boccaccio indiscreto (Il Mulino), che indaga, con impeccabile perizia storica e filologica, sulla genesi e l’evoluzione del mito di Fiammetta, un personaggio ricorrente in numerose opere del Boccaccio. Ne abbiamo parlato con lui. Professor Santagata, della vita del Boccaccio restano ancora parecchie zone d’ombra: quali sono gli aspetti che, secondo lei, andrebbero maggiormente esplorati? «La biografia del Boccaccio è contrassegnata da una carenza di informazioni, che proprio l’autore aveva contribuito a colmare fornendo, nei suoi scritti, una sovrabbondanza di dettagli autobiografici, ma di assai scarsa attendibilità, col fine evidente di presentare di sé un’immagine nobilitante. Egli, per esempio, nell’intento di rimuovere la verità della sua oscura condizione familiare di figlio illegittimo (il padre mercante era piuttosto gretto e venale, la madre inesistente e i fratelli poco raccomandabili), avrebbe elaborato e fatto circolare la leggenda che sarebbe nato in Francia da una principessa. Orbene, su questi e altri elementi fantasiosi si era incentrato, fra Otto e Novecento, l’interesse degli studiosi della Scuola storica (di impostazione positivistica), i quali operarono suggestive e romanzesche ricostruzioni. In seguito, a partire dal secondo dopoguerra, si venne a creare, con Giuseppe Billanovich e Vittore Branca, una tendenza opposta, che rigettava a priori le istanze autobiografiche come estranee alla dimensione letteraria. A mio parere, sarebbe molto più pro- Il libro Una donna ideale filo conduttore di molte opere Il mito Di Fiammetta, Boccaccio si sarebbe servito per trasfigurare nella finzione letteraria una propria passione amorosa esplosa in età giovanile. Su questa affascinante creatura, il cui nome è già di per sé emblematico e i cui contorni restano ancora un po’ avvolti nel mistero, si è lungamente interrogata la critica, pervenendo a ipotesi di vario genere. Marco Santagata, facendo luce sul pensiero amoroso e sui nodi cruciali dell’opera boccacciana, fornisce qui al lettore una chiave di volta per comprendere a fondo uno degli autori più letti, amati e discussi della tradizione europea. L’autore Docente universitario (a Pisa, Parigi, Ginevra e Harvard), scrittore, studioso e critico letterario Marco Santagata (Zocca, 1947) è uno dei massimi specialisti a livello mondiale della letteratura italiana del Tre/Quattrocento. Marco Santagata, Boccaccio indiscreto. Il mito di Fiammetta. Il Mulino. Pagg. 198, € 19. ficuo partire dal non detto, da quello che il grande trecentista avrebbe tralasciato di dire; e su questo aspetto ho focalizzato gran parte dell’indagine critica nel mio ultimo saggio». A quale verità taciuta si riferisce? «Le verità taciute, si sa, sono sempre le più dolorose e traumatiche: mi chiedo, per esempio, quali siano le motivazioni che abbiano spinto il Boccaccio ad andarsene, ancora giovane (siamo nel 1340), da Napoli, dove era vissuto brillantemente a stretto contatto con la raffinata corte del sovrano Roberto d’Angiò, l’illuminato mecenate che esaminò il Petrarca in vista dell’incoronazione poetica in Campidoglio. A corte, poi, vivevano le personalità più in vista della cultura partenopea: l’astronomo Andalò del Negro; il monaco Barlaam, noto grecista; l’agostiniano Dionigi da Borgo di San Sepolcro. Per Boccaccio, promettente studente di diritto canonico, Napoli incarnava a pieno titolo la città ideale, una vivace capitale della cultura, in cui poter affermarsi con successo. Gli eventi, dapprima favorevoli, a un certo punto, però, precipitarono, e il sogno di Boccaccio si infranse per sempre. Sulle ragioni del trasferimento inaspettato da Napoli alla volta di Firenze, nel deprecato ambiente mercantile, cala, come per un processo di rimozione, il silenzio dello scrittore. Da qui prende avvio la mia disamina». In questo periodo Boccaccio elabora il fortunato mito di Fiammetta? «Invero, questo mito era stato preannunciato già da un’opera del periodo napoletano, il Filocolo, romanzo in prosa il cui titolo significherebbe, alla greca, “fatica d’amore”. Il libro si apre con la confessione choc dell’autore di essere innamorato di una damigella, una tale Maria (che prenderà poi il nome di Fiammetta), di buona e onorata famiglia. Ma quella fanciulla bella e virtuosa come poche, e cresciuta a corte, – rivela imprudentemente il Boccaccio – non era la figlia del padre di cui portava il cognome; era, invece, la figlia inconfessata nientemeno che del re Roberto d’Angiò, che l’aveva generata, quando ancora non era salito al trono, con “una gentilissima giovane dimorante nelle reali case”. Il giovane scrittore avrebbe pagato a caro prezzo tale arditezza, risultata a dir poco sgradita al sovrano e al suo entourage. A ciò si aggiunga che esisteva davvero una Maria nella famiglia di casa d’Angiò; inoltre, stando ad alcune indiscrezioni, re Roberto aveva realmente un figlio segreto, Carlo d’Artois. Una fatale coincidenza? Fatto sta che con le improvvide rivelazioni del Filocolo il Boccaccio si attirò l’ostilità della corte angioina. Di qui la fuga tempestiva da Napoli, densa di nostalgici rimpianti negli anni a venire. Questo mito, tuttavia, proseguirà… «Proprio negli anni successivi, a Firenze, questo mito conoscerà un vero sviluppo. Nell’Amorosa visione Boccaccio, sfidando le chiacchiere, è pronto a rivelare l’identità dell’amata: una tale Maria d’Aquino, ma è indubbio che si tratti di un personaggio fittizio. In altre opere, poi, Maria assume il nome di Fiammetta, un senhal che ricalca le donne amate dai poeti stilnovisti. Ma, soprattutto, Fiammetta diviene ogni volta una figura nuova, degna dell’invenzione di un grande scrittore, che trae ispirazione dall’inesauribile serbatoio dell’immaginario classico e dantesco, per cui la vediamo ora, nella Comedia delle ninfe fiorentine, nelle vesti di una femme fatale fedifraga e piena di erotico charme; ora, nell’Elegia di madonna Fiammetta, come un’amante sedotta e abbandonata da un tale Panfilo (presunto alter ego dell’autore), che si sarebbe preso una degna rivincita dopo i tradimenti subiti dall’amata. Insomma, Maria/Fiammetta è un personaggio complesso, sfaccettato, mutevole, controverso, su cui si è costruito un mito squisitamente letterario, arricchito da tante varianti e contraddizioni, che non cessa ancor oggi di affascinare e sorprendere il lettore».